E’ notizia di questi giorni la pubblicazione del decreto, a firma di Donald Trump, che pone il veto sull’immigrazione da parte di sette paesi musulmani.
Ma di cosa stiamo parlando, esattamente?
Il decreto prevede un fermo della concessione dei visti per alcuni paesi musulmani, nell’ordine: Iraq, Iran, Yemen, Libia, Somalia, Sudan e Siria (in quest’ultimo caso il fermo non è per 3 mesi, come per gli altri casi, ma “sine die“, ossia senza scadenza temporale).
Il pretesto addotto a difesa del decreto è molto semplice e si basa su un principio molto evanescente: difendere i confini statunitensi dall’ingresso in massa di immigrati tra le cui fila potrebbero celarsi terroristi o fondamentalisti islamici.
Ma allora quale il discrimine con il quale avviene la scelta?
Per quale motivo, mi chiedo banalmente, la lista di paesi si limita ai sette sopracitati e non prende in esame la situazione geopolitica dell’intero corno d’Africa o delle superpotenze petrolifere (Emirati arabi e Arabia Saudita in primis)?
Prendendo in esame i paesi sopracitati scopriamo alcuni dati interessantissimi, a mio avviso. Andrò ad elencarli:
Iraq: l’impegno in Iraq affonda le sue origini nel 2003 e vede la sua ufficiosa fine solo nel 2011. Il conflitto ha lasciato in dote un paese dilaniato dagli scontri tra i fondamentalisti islamici e le forze governative (invano “istruite” dalle forze occidentali), una crisi economica che va ad aggravare il già pesante bilancio statale ed una perdita di civili conteggiata tra il milione e il milione e duecentomila morti.
Il decreto di Trump ha indisposto il premier Haider al-Abadi, un alleato chiave degli Stati Uniti nella lotta contro l’Isis, che ha dovuto ratificare un decreto-fotocopia votato a larga maggioranza dal parlamento (che prevede il blocco del visto per i cittadini USA in Iraq).
In Iraq sono presenti 5 mila militari statunitensi, che però non hanno bisogno del visto per entrare. Difficilmente la misura potrà essere applicata anche a loro.
Intanto l’Isis ha ribattezzato la legge Trump “il decreto benedetto”, perché, secondo gli islamisti, mette in luce il vero atteggiamento dell’Occidente contro i musulmani, al di là delle alleanze di comodo. I jihadisti stanno già sfruttando sul web il bando nei confronti dei cittadini di sette Paesi islamici per reclutare nuovo adepti della “guerra santa”.
Iran: i rapporti sono sempre stati molto tesi, specialmente dopo le sanzioni (imposte all’Iran in ambito Onu, europeo e americano) per la cosiddetta proliferazione nucleare. Sebbene sia improbabile che termini il programma iraniano per l’arricchimento dell’uranio, Teheran potrebbe avviare una collaborazione con organi internazionali come l’IAEA. Tuttavia, dopo il decreto Trump, è stato votato lo stesso fermo dei visti secondo il principio di reciprocità; questo stallo internazionale rischia di acuire problemi mai sopiti sotto le ceneri delle fragili relazioni internazionali.
Si citi, ad esempio, il presunto aiuto fornito da parte del governo di Teheran alle truppe dei ribelli yemeniti.
Yemen: L’inizio della guerra civile in Yemen è ufficialmente datato nel marzo del 2015. La situazione interna del paese era tesa sin dal manifestarsi della “primavera araba” tra il 2011 e il 2012. All’epoca il presidente Ali Abdullah Saleh venne deposto a seguito delle proteste popolari. Il potere venne acquisito da Abdel Rabbo Monsour Hadi, con particolare favore dell’Occidente e dell’Arabia Saudita. Nei primi mesi del 2015 gli Houthi e le forze di Saleh cacciarono il presidente Hadi e lanciarono un’offensiva contro i territori meridionali del paese. Gli Houthi sono un gruppo sciita che corrisponde a circa il 35% della popolazione e controllano l’area della capitale Sana’a che si trova al confine con l’Arabia Saudita. Questa particolare accusa e la presenza sul territorio yemenita di provincie controllate da Al-Qaeda e lo Stato Islamico scatenarono una forte reazione internazionale. Gli Stati Uniti, la Lega Araba e i paesi degli Emirati Arabi sono i principali sostenitori dei sauditi e per questo motivo questo fermo dei visti rischia di distaccare le sorti USA dalle vicende yemenite, con grande pericolo di una proliferazione islamista. Secondo l’Onu le vittime causate da questo conflitto sono più di 10mila di cui almeno la metà sono civili.
Libia: dopo la deposizione del governo Gheddafi, la Libia è sprofondata in un caos geopolitico che la rende terreno ideale per la proliferazione di cellule terroristiche legate al proficuo mercimonio di uomini e donne che ha il suo emblema nella tratta dei migranti.
Nonostante l’Onu abbia ufficialmente riconosciuto il governo di Fayez al-Sarraj, la realtà dei fatti resta notevolmente diversa. Il traffico dei migranti frutta 1/3 del PIL solo nell’area della Tripolitania e il governo non sembra avere le forze per reagire (o risulta essere connivente, difficile stabilirlo).
Ma per quale motivo il risibile numero di richiedenti asilo libici negli Stati Uniti dovrebbero essere un problema nazionale? Difficile stabilirlo.
Probabilmente ciò è dovuto al fatto che Russia ed Egitto sembrano che abbiano ormai consolidato il loro asse, cui si aggiunge la Siria di Assad, l’Iraq, fornitore di petrolio degli egiziani al posto dei sauditi, e l’Iran, alleato di Damasco, di Baghdad e di Mosca. I russi avrebbero chiesto una base militari ai libici di Bengasi, rinnovando una richiesta che Mosca aveva già fatto a Gheddafi nel 2008.
E’ forse un caso che 5 delle 7 nazioni escluse dalla richiesta del visto abbiano legami internazionali con la Russia di Putin?
Somalia: Chi sono gli Al-Shabaab? La domanda s’impone ancora una volta volgendo l’occhio allo scacchiere del Corno d’Africa, dove la Somalia vive da anni schiacciata dagli attacchi di questo gruppo terroristico legato ad Al Qaeda che, spessissimo, sconfina nel vicino Kenya. Nel settembre 2013 vi compì la sua azione più terribile, l’attentato nel centro commerciale Westgate di Nairobi, in cui persero la vita 68 persone.
Gli attacchi al porto di Barawe, città roccaforte jhadista, a Mogadiscio e a Nairobi sono solo gli ultimi di una lunga sequela di violenza.
Ma si tratta davvero di violenza gratuita di matrice islamista, o sotto a tutto vi sono enormi interessi commerciali all’origine dell’instabilità somala?
Il Paese giace sopra enormi giacimenti di petrolio greggio green light, a bassa quantità di zolfo, tanto lungo le coste che danno verso l’oceano aperto, tanto nelle acque che guardano lo Yemen. Secondo alcuni analisti, i finanziamenti agli Al Shabaab arriverebbero proprio da lì, la Penisola Araba: confraternite islamiche che controllano il business petrolifero e che puntano con enorme interesse a queste riserve. Inoltre parliamo di un punto di snodo importantissimo per i commerci mondiali, tra l’Oceano Indiano e il Canale di Suez: per molti sarebbero netti i legami tra i pirati somali e questi terroristi.
E’ quindi un caso che la Somalia venga colpita da questo decreto, essendo lei alleata dell’Iran?
Sudan: Una visita dell’inviato speciale della Casa Bianca Donald Booth a Khartoum per il Sudan e il Sud Sudan il cui obiettivo è stato di valutare assieme al Governo del Presidente Omar el Bashir i prossimi passi per annullare il blocco economico unilateralmente imposto dagli Stati Uniti agli inizi degli anni Novanta. E’ un caso che dopo l’apertura del 2014 ad opera del governo Obama il successore Trump si adoperi subito a reinserire il Sudan nella lista dei Paesi sponsor del terrorismo, dopo che vi era stato cancellato proprio dal predecessore democratico?
Siria: La Siria vive una terribile guerra di difficile collocazione.
Non si tratta di une vera propria guerra civile, né religiosa e tanto meno di invasione straniera. Si tratta di una guerra iniziata per rovesciare il regime di Assad ma che ha preso, data la tensione tra Mosca e Washington, le dimensioni di un conflitto di ambascerie internazionali. Gli Stati Uniti hanno annunciato il 3 ottobre 2016 l’interruzione di qualsiasi contatto bilaterale con la Russia a proposito della guerra in Siria, in reazione ai violenti bombardamenti che l’aviazione russa e quella siriana stanno conducendo su Aleppo.
Ancor più inquietante la mossa, quasi contemporanea, del Cremlino: sospeso l’accordo sulla parziale e progressiva distruzione dei rispettivi arsenali al plutonio, siglato con gli Usa nel 2000 ed effettivo dal 2010. L’eventuale riattivazione, secondo un disegno di legge presentato alla Duma, è subordinata alla cancellazione di tutte le sanzioni americane contro la Russia – da ultimo quelle successive all’annessione della Crimea.
La Siria, vittima del blocco imposto da Trump, è quindi un bacino di proliferazione terroristica o solo la vittima sacrificale delle tensioni internazionali che durano in questa porzione di Medio Oriente dagli anni ’50?
Analizzate le posizioni dei sette stati in relazione agli Stati Uniti, per quale motivo a subire eguale sorte, non sono state anche nazioni come gli Emirati Arabi, l’Arabia Saudita, la Turchia, il Pakistan, l’Egitto e l’Indonesia?
D’altro canto gli attentatori delle torri gemelle provenivano dall’Egitto (come Mohamed Atta, capo dei dirottatori) e dalle cellule terroristiche legate ad Al-Qa’ida degli Emirati arabi e dell’Arabia Saudita.
Sarà forse per gli interessi economici che le aziende di Trump hanno nei paesi sopracitati? O forse per il complesso scacchiere geopolitico che vede le nazioni sopracitate essere (o essere state) alleate della Russia?
Quattro aziende in Arabia Saudita; due in Egitto; ville, spa e campi da golf negli Emirati Arabi; una serie di immobili in Indonesia. Un bottino importante per il neo presidente degli Stati Uniti d’America, che vede il proprio decreto scatenare un’ondata di indignazione e proteste in tutta la nazione.
Non è intenzione di questo articolo sottolineare per l’ennesima volta la differenza sostanziale che intercorre tra rifugiati politici e terroristi, né cercare di ovviare al pretesto qualunquista della politica dell’esclusione, che vede nella chiusura l’unico rimedio efficace alla lotta al terrorismo.
Il senso intrinseco dello scritto è analizzare brevemente la situazione geopolitica delle 8 forze in campo (USA e nazioni coinvolte, anche se potrebbero essere molto di più contando comunità UE e Russia) senza entrare troppo nello specifico (google e wikipedia sapranno ovviare alle mie lacune).
Allora, in conclusione, la notizia mi desta un sorriso dolce amaro a cui non so come rispondere, se non con un po’ di leggera ironia: cosa fare per ghettizzare i più di 1,6 miliardi di persone (circa il 23.4% della popolazione mondiale) musulmane?
Costruire un bel muro, magari?
Donald, prepara malta e mattoni, ne hai di lavoro da fare!
Stefano Pasciuti